Agevolare una maggiore indipendenza energetica e mantenere bassi i prezzi dell’energia. La politica energetica e la competitività del sistema industriale italiano secondo Enrico Mattei erano costruiti intorno a questi due assiomi.

Per un Paese di trasformazione come l’Italia, con poche materie prime, l’autonomia energetica doveva e deve essere una priorità della politica estera e della politica industriale.
Le imprese e le famiglie italiane, anche a causa della debolezza della politica, ostaggio dei continui no e di una forte componente ideologica dell’ambientalismo contraria pure al nucleare di quarta generazione, oggi pagano l‘energia almeno tre volte più alta rispetto agli altri stati europei.

Gli Stati Uniti, invece, con il fracking e le estrazioni tradizionali, e i forti investimenti in rinnovabili, hanno energia a sufficienza e la vendono anche ad altri Paesi come l’Italia (gas liquido). L’accelerazione del percorso della UE verso la riduzione delle emissioni, si sta scontrando inevitabilmente con la crescita impetuosa di Cina e Stati Uniti, che continuano a investire e a produrre con le tecnologie che l’Europa invece sta provando a dismettere.

La Cina oggi è il primo Paese al mondo per importazione di petrolio; gli Usa il primo Paese esportatore al mondo di gas liquefatto.

Claudio Descalzi, erede all’Eni della managerialità geopolitica di Enrico Mattei, ha detto chiaramente che il re è nudo, perchè una minoranza in Europa con le sue decisioni sta infliggendo al futuro dell’industria il colpo più terribile.

L’industria europea non è immune da responsabilità, perché nel rafforzamento della competitività europea ha tralasciato al pari della politica la costruzione di un grande progetto di cooperazione con l’Africa (oggi uno dei presupposti del Piano Mattei del Governo Meloni), percorso che all’epoca proprio Enrico Mattei aveva caldeggiato per favorire processi equilibrati di decolonizzazione.

Dopo il flop delle Primavere arabe che hanno destabilizzato tutti i Paesi del Nord, oggi l’Africa è in prevalenza controllata da Cina e Russia (e in parte dalla Turchia), con le quali l’Europa inevitabilmente deve negoziare per avere energia (Algeria) o per evitare che la situazione geopolitica nel Mediterraneo possa deflagrare, compromettendo la stabilità nel commercio internazionale. E gli stessi Paesi arabi, con la scelta di non intervenire nel conflitto mediorientale, hanno implicitamente confermato la validità degli Accordi di Abramo, voluti nel 2020 da Trump per pacificare l’area.

La discussione in Commissione Europea sul Grean Deal sarà preceduta dalla votazione domani al Comitato Europeo delle Regioni del Parere sulla Transizione Energetica Giusta per le Regioni europee, il cui relatore è italiano, il presidente del Gruppo ECR Marco Marsilio, alla guida della Regione Abruzzo.

Siamo ancora in tempo per salvare la manifattura in Europa o è troppo tardi? La frustrata di Descalzi e le recenti affermazioni del neo presidente di Confindustria Orsini, troveranno consenso in Europa o resteranno confinate nel nostro Paese?