Partiamo da un assunto incontrovertibile: alla voce energia oggi l’Italia è tornata ad avere un ruolo centrale nel Mediterraneo.
Nel mezzo della crisi energetica che ha fatto seguito all’invasione russa in Ucraina, infatti, l’Italia è stato il Paese europeo ad adottare più velocemente contromisure adeguate.
Le strategie energetiche italiane, in attesa che si concretizzi il Piano Mattei,grazie all’azione diplomatica dei governi Draghi e Meloni, all’intraprendenza in politica estera della stessa Meloni e all’ indubbia capacità di Claudio Descalzi dell’Eni, hanno consentito al nostro Paese di portare il tema del Mediterraneo nell’agenda dell’Europa e della Nato.
Quanto abbiamo in più occasioni evidenziato su Il Tempo nei mesi precedenti, sottolineando l’abile tessitura geopolitica del governo italiano e la garanzia determinata dal peso di società come Eni, Enel, Snam e Terna, è stato confermato dalle tensioni in Medio Oriente, che non hanno impattato affatto sui progetti italiani in corso di realizzazione in Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto. Se il conflitto ucraino ha portato in superficie la debolezza dell’Europa intorno all’autonomia energetica, questa affermazione non è valsa per l’Italia, capace in questi ultimi due anni di superare anche i veti e i no alle infrastrutture di trasporto (si veda il Tap), che ne avrebbero pregiudicato la tenuta del sistema industriale. Il ruolo e la percezione dell’Italia, insomma, si sono modificati radicalmente, e oggi giustamente il nostro Paese ambisce ad essere un crocevia energetico dell’Europa nel Mediterraneo, grazie ai gasdotti in Adriatico e nell’Italia centrale, i rigassificatori a Ravenna e Piombino, i cavidotti con l’Africa e l’eolico offshore in Puglia.
Se l’Africa e il Mediterraneo sono stati la metafora dei limiti e delle divisioni dell’Europa, incapace anche in questo ambito di avere una politica unitaria al contrario di Cina, Russia e Turchia, passati dal semplice assistenzialismo alla definizione di una strategia regionale di cooperazione militare ed economica, l’Italia è andata nella direzione esattamente contraria. Il riconoscimento da parte della Nato del fronte Sud al termine del vertice di Vilnius; gli investimenti in politica energetica (leggasi Terna) con il governo tunisino; l’incontro riservato tra il presidente Meloni e il Segretario Generale della Nato Stoltenberg e la grazia del presidente egiziano Al Sisi a Patrick Zaki, sono alcuni degli esempi della strategia italiana in Africa e nel Mediterraneo, che ha registrato nell’ultimo anno una decisa accelerazione.
In questa ottica deve essere letta la proposta del governo italiano alla Ue di istituire dal 2024 un’unica Zona Economica Speciale a fiscalità agevolata in tutto il Mezzogiorno, una scelta che rafforzerà la presenza dell’Italia proprio nel Mediterraneo, e per la cui attuazione il governo ha inserito nella manovra 1,8 miliardi di euro come credito di imposta.