Partiamo da un assunto incontrovertibile, in Italia la produzione automobilistica è praticamente ferma al palo. E non si tratta di elettrico, ma in generale del ruolo che la manifattura industriale dell’automotive ha svolto per la crescita del nostro paese, e che, numeri alla mano, non potrà più continuare a svolgere. Almeno a queste condizioni.

Alla fine dello scorso anno, infatti, la produzione di autoveicoli si è fermata a 473.194 unità, un terzo della produzione spagnola, sette volte inferiore a quella tedesca.

Era evidente, quindi, che numeri così bassi avrebbero messo a rischio la tenuta di un’intera filiera, inevitabilmente tentata dalla delocalizzazione facile nei Paesi a più alta intensità di produzione.

Tema, questo, che seppure non esplicitato, aveva fatto da cornice all’audizione parlamentare dell’Ad di Stellantis Tavares ad ottobre.

In quella occasione era stata ancora una volta evidenziata la pervasività di un certo modello di capitalismo che ha smesso di produrre e cominciato ad inseguire i servizi, continuando a chiedere soldi e risorse agli stati e ai governi, diventati sempre più impotenti di fronte alle scelte delle multinazionali.

Non è un caso, ad esempio, che quando il quotidiano spagnolo El Mundo a settembre aveva annunciato l’imminente avvio a Saragozza di una gigafactory di Stellantis per la produzione di batterie elettriche, tra i nodi da sciogliere che avrebbero potuto far naufragare l’investimento da 3 miliardi di euro, quello più complicato chiamava in causa direttamente il governo di Sanchez. L’esecutivo socialista, infatti, avrebbe dovuto stanziare 350 milioni per sostenere i piani di sviluppo del gruppo franco-italiano.

L’annuncio ieri dell’investimento, frutto di un accordo tra Stellantis e la cinese Catl, trasformerà Saragozza in un grande polo europeo dedicato all’elettrico, a danno della gigafactory di Termoli, in Molise, ed è l’ennesima conferma della marginalità dell’Italia nei piani di Stellantis.

Tutto il management che conta, infatti, proviene da Peugeot, ed anche la ricerca è stata sottratta agli storici impianti italiani e americani.

La scelta di investire in Spagna, quindi, è l’ennesimo schiaffo alla storia dei prestigiosi marchi italiani del gruppo, il presupposto del progetto industriale di rilancio ideato da Sergio Marchionne, così tanto osteggiato da una parte delle organizzazioni sindacali.

Invece di chiedere nuovi incentivi, Schlein e Landini si adoperino per agevolare in sede europeala negoziazione temporale degli aiuti di Stato anche per le grandi imprese, un tabù fino a qualche mese fa, diventato oggi un percorso necessario per contrastare la deindustrializzazione tedesca e la crisi dell’intera filiera europea.