Per la prima volta Volkswagen sta valutando la chiusura di alcuni stabilimenti in Germania, con la messa in discussione del patto di salvaguardia dei posti di lavoro.
I suoi progetti per lo sviluppo dell’auto elettrica di nuova generazione, come il Trinity, sono stati rinviati. Già nel 2019 Gerard Dambach, in quel momento amministratore delegato di Bosch Italia, esprimeva le sue perplessità sull’auto elettrica (difficoltà nella ricarica, autonomia ancora insufficiente per i viaggi a lungo raggio, un grado di inquinamento che considerando l’intero ciclo vita di un modello sarebbe stato superiore a quello di un’auto a combustione interna), e spiegava che in Scandinavia il mercato dell’elettrico stava reggendo esclusivamente grazie agli incentivi.
In questi giorni in Germania si è registrata un’impennata del costo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che ha toccato per lo scarso vento tra le 19 e le 20 dei primi giorni di settembre la cifra monstre di 656 euro a Mw/h.
Dopo la chiusura delle ultime tre centrali nucleari decisa dall’esecutivo rosso-verde guidato da Scholz e il fortissimo ridimensionamento all’importazione di gas dalla Russia attraverso Gazprom, era ampiamente prevedibile che la principale economia europea si sarebbe trovata a gestire una drammatica crisi energetica.
Sul fronte politico, poi, i Verdi, decisivi nell’orientare in modo marcatamente ideologico l’indirizzo ambientalista del programma di Governo del nuovo mandato di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione Europea, non sono entrati nel Parlamento della Turingia, e solo per un eloquente 0,1% sono riusciti ad eleggere un proprio candidato in quello della Sassonia. Gli avvenimenti tedeschi ci inducono ad alcune riflessioni. Proviamo a farle partendo da un episodio. Alessandro Gassmann si è lamentato alcuni giorni fa su X perché il suo gestore non gli aveva aumentato da 3 a 6 i Kw/h per utilizzare il forno ad induzione. In diverse città europee, Amsterdam in primis, in alcuni giorni della settimana dalle 17 fino alle 22 non si possono più ricaricare le auto, altrimenti il sovraccarico di energia paralizzerebbe proprio la nuova strumentazione a induzione nelle abitazioni.
I voti dei Verdi sono stati decisivi per eleggere Von del Leyen ma la loro idea di ambientalismo hard si scontra con la necessità di una transizione energetica pragmatica, che non impoverisca i cittadini e le imprese. Le soluzioni ad oggi per l’automotive rischiano paradossalmente di agevolare la concorrenza.
La Cina aggirerà i dazi doganali investendo in nuove fabbriche in Europa, immettendo così nel nostro mercato macchine dal costo inferiore ai 15.000 euro; il 2035 come data ultima di produzione delle auto a combustione eliminerà dalla ricerca e dall’innovazione tecnologie che hanno compiuto progressi ecologici enormi.
Rimodulare i tempi e le modalità per il passaggio all’elettrico, e agevolare il principio della neutralità tecnologica, non sono solo scelte di buon senso ma inevitabili azioni di politica industriale e culturale.