L’idea di transizione energetica pesante, sostenuta in questi anni a Bruxelles dal Commissario Timmermans e in Italia dal segretario del Pd Schlein, si è scontrata con la realtà della vita quotidiana, sulla quale dopo il Covid stanno influendo anche i cambiamenti geopolitici in atto e l’aumento dei prezzi causati dall’inflazione.

Se la transizione giusta non può prescindere dalla costruzione di un mix energetico chiaro per evitare che l’Europa cada in una pericolosa spirale di deindustrializzazione, il nucleare è un’opzione che non può più essere messa da parte.

Affidarsi quasi esclusivamente alle rinnovabili, fonti intermittenti e poco programmabili, significa non garantire elettricità in modo continuativo.

Se la strada di Bruxelles è quella verso la decarbonizzazione, con la conseguenza che bisogna produrre energia elettrica senza emissione di Co2, la tecnologia più performante che ci offre anche indipendenza da importazioni extraeuropee e continuità di fornitura elettrica, è senza alcun dubbio quella nucleare.

Accanto al gas, che è la meno inquinante tra le fonti fossili e quindi giustamente considerata di transizione, occorre infatti una fonte in grado di offrire quantità, continuità e sicurezza di approvvigionamento alle imprese. E oggi quel ruolo anche in Europa lo svolge il nucleare, che garantisce il 25% dell’energia elettrica prodotta a fronte dell’utilizzo ancora preponderante del carbone e del gas.

Con l’invio alla Commissione Europea da parte del Governo italiano del testo definitivo del Piano Nazionale integrato Energia e Clima, la pregiudiziale antinucleare in Italia sembra finalmente essere stata accantonata per sempre.
Nel testo e nei commenti a corredo del ministro Pichetto Fratin e del viceministro Gava, infatti, si dà evidenza al fatto che per la prima volta il Piano si concentra sulle grandi opportunità derivanti dallo sviluppo di tutte le fonti, senza preclusioni, contemplando nello scenario energetico l’energia nucleare, sia da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) che da fusione (a ridosso del 2050). Far cadere la pregiudiziale antinucleare significava abbandonare l’ecologismo come bandiera ideologica, e calarlo invece sulla quotidianità per migliorare la qualità della vita delle imprese e dei cittadini, e valutare come ha proposto anche Confindustria un percorso di decarbonizzazione alternativo per favorire lo sviluppo del tessuto industriale e tutelare la competitività internazionale delle aziende del nostro Paese, che nel 1966 era il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.
Il declino nell’uso dell’energia nucleare nelle economie avanzate determinerebbe sostanziali aumenti degli investimenti nelle energie rinnovabili, con un costo della fornitura di energia elettrica quantificabile in 80 miliardi di dollari in più all’anno fino al 2040, che sarebbero inevitabilmente trasferiti sui consumatori.